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CLARA MOSCHINI

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Il management inadeguato di ITA

Cos’altro manca per capire che occorre al più presto cambiarlo?

Domanda: è saggio alienare di fatto il trasporto aereo di un Paese a vocazione turistica, seconda Nazione manifatturiera d’Europa, sede del Papato ed una delle prime potenze industriali del mondo? La risposta potrebbero darla Paesi come il Portogallo, che si è tenuta stretta la compagnia aerea, considerata il vettore degli interessi nazionali portoghesi. Senza parlare, ovviamente, di Air France, Lufthansa, Klm e tante altre. 

Nel 2020 è stato deciso di nazionalizzare Alitalia perché strategica per il sistema Paese. Poi, incomprensibilmente, dopo pochi mesi dalla partenza, si è deciso di privatizzare ITA e di svenderla agli stranieri. Il motivo? Perché perde più soldi di prima.

I motivi sono molti, ma in sintesi afferiscono alla inesperienza di gestione del trasporto aereo. Infatti, il top management, cioè presidente e ceo non avevano mai gestito una compagnia prima d’ora. Il Covid, l’alibi prêt-à-porter per giustificare qualsiasi fallimento, non può essere invocato in questo caso, poiché non può essere responsabile dei fortissimi ritardi organizzativi e dell’improvvisazione nel reclutamento di manager e personale operativo nella fase di start-up, né delle scelte sbagliate che citeremo. Eppure Enac (Ente nazionale aviazione civile) ha concesso da parte sua tutte le deroghe possibili per facilitare questa partenza, come nel caso degli atterraggi in bassa visibilità (CAT III) e delle trasvolate oceaniche con due motori (Etops, Extended Range Twin-engine Operation Standards). 

A livello gestionale il clima organizzativo interno si è subito rivelato carente sia a livello di top management, sia nelle relazioni sindacali, sia nel motivare i dipendenti.

A livello di lavoro di squadra del top management, possiamo rilevare un pessimo clima da tanti segnali, ma in particolare da una riunione a livello apicale, in cui si possono ascoltare le imprecazioni del presidente esecutivo contro i suoi stessi manager. La riunione fu registrata di nascosto e divulgata alla stampa. Un commovente esempio di teamwork.

Un altro elemento che denota scarsa coesione a livello elevato è che sette consiglieri su nove del consiglio di amministrazione si sono dimessi; un fatto che non ha precedenti nella storia della compagnia di bandiera. 

Il rapporto con i dipendenti, partito male, è proseguito peggio. Inizialmente, il presidente di ITA Alfredo Altavilla ha assunto un atteggiamento duro, muscolare, teso ad imporre una leadership autoritaria, che raramente ha funzionato all’interno delle compagnie aeree in grado di assicurare revenue e sicurezza. Poi c’è stata una misteriosa inversione di rotta di 180°, che ha visto assicurare posti, benefit e promozioni ai rappresentanti sindacali. 

Il risultato è un clima interno teso, indotto dalla mancanza di criteri di avanzamento per le carriere. Con centinaia di comandanti in cassa integrazione, si è scelto di formare internamente nuovi comandanti, attingendo dal bacino di primi ufficiali anziani che erano stati bloccati nelle loro carriere da anni di stagnazione economica dell’Alitalia. In pratica, si sprecano soldi del contribuente per demotivare i dipendenti. 

A livello di strategia aziendale tre errori saltano agli occhi: abbandonare il cargo, unico ad aumentare il fatturato durante la pandemia, esternalizzare la manutenzione (scelta già rivelatasi disastrosa in passato) e tagliare di nuovo rotte di lungo raggio a causa del diminuito numero di aerei. 

Infine, un aspetto che pochi rilevano ma che ha un suo peso nel determinare i mancati risultati economici. È perlomeno strano che una compagnia nata come start-up con un budget di tre miliardi (ma di cui ne sono stati conferiti 1,3 miliardi) sia partita con un piano di investimenti per acquistare una flotta nuovissima dal costo di 4,5 miliardi di Euro. Un marziano si domanderebbe come fa una compagnia che non ha capitale e che accumula più di due milioni di Euro al giorno a pagare quegli aerei? Certamente, il futuro eventuale acquirente si troverà accollato il debito legato ai leasing che non fa altro che abbattere il prezzo di acquisto, con ulteriore danno per l’attuale proprietario, cioè lo Stato. Noi. 

Insomma, sebbene sia evidente che in questo settore gli investimenti servano ad aumentare la flotta, incrementando l’operativo ed espandendo sempre di più il network, la strategia aziendale è stata esattamente l’opposto con il risultato di aver fatto investire allo Stato tre miliardi di Euro per creare ottomila disoccupati a carico delle casse pubbliche, ridotto la flotta e perso quote di mercato. 

Cos’altro manca per capire che occorre al più presto cambiare management?

Sull'argomento vedi anche la notizia pubblicata da AVIONEWS

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